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Il rischio radon nei locali di lavoro interrati o seminterrati

 


Il rischio radon nei locali di lavoro interrati o seminterrati

In relazione alla problematica in oggetto, che assume sempre più crescente importanza anche nel nostro Paese, si produce la seguente informativa, contenente alcune considerazioni tecniche, certamente da approfondire, ma indispensabili per avviare correttamente gli opportuni provvedimenti da parte dei Vertici dell’Ente, anche in ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 4 del D.Lgs. 626/94, così come sostituito dall’articolo 3 del D.Lgs. 242/96, inerente gli obblighi dei Datori di lavoro di Aziende ed Enti.

Il radon è un gas radioattivo, appartenente alla classe dei “gas nobili”, presente in natura i cui isotopi principali, dal punto di vista dell’esposizione della popolazione, sono il 222Rn  (chiamato generalmente “radon”) e il 220Rn (chiamato generalmente “toron”). Nel proseguo della informativa si citerà per semplicità il termine radon per indicare entrambi i gas, aventi caratteristiche simili.

Il radon è continuamente prodotto in quanto deriva dal decadimento radioattivo dell’Uranio-238 e del Torio-232, che hanno tempi di dimezzamento dell’ordine di miliardi di anni (dai 4 ai 14).

Durante il decadimento radioattivo vengono emesse radiazioni ionizzanti (in particolare, particelle α e β, raggi γ), che, quando si respira, tendono ad aderire alle pareti interne dell’apparato bronchiale. In tale sede queste decadono, provocando danni alla salute, avendo effetti mutageni a livello di patrimonio genetico cellulare (con effetti trasmissibili alla prole) e cancerogeni (in particolare all’apparato bronco-polmonare).

Il radon è emanato dai terreni e dalle rocce(soprattutto quelli di origine alluvionale e vulcanica) e, in minor misura, dai materiali da costruzione costituenti le strutture edilizie, ed è trasportato dall’acqua.

Una volta rilasciato, il gas può spostarsi per diffusione nei fluidi presenti negli spazi interstiziali oppure per convezione, a causa delle differenze di pressione presenti nel suolo.

Il meccanismo principale che trasporta il gas dal suolo agli ambienti di vita chiusi è la differenza di pressione tra l’interno e l’esterno degli edifici: in genere l’interno di un edificio è in depressione rispetto all’esterno, per cui l’aria presente nel suolo viene richiamata all’interno attraverso le fessurazioni, le aperture e le discontinuità (anche microscopiche) nelle strutture dello stabile.

Essendo più pesante dell’aria atmosferica, il radon tende ad accumularsi all’interno degli ambienti chiusi o comunque scarsamente ventilati: pertanto, possono risultare critici gli ambienti (di abitazione, di lavoro, di stoccaggio) interrati o seminterrati.

I principali fattori che influenzano la concentrazione di radon in un ambiente chiuso sono:

ü       conformazione e struttura del terreno su cui insiste l’edificio;

ü       struttura e tenuta della soletta che poggia sul terreno;

ü       materiali da costruzione adottati;

ü       altezza dal suolo del piano di calpestìo;

ü       presenza di acqua direttamente proveniente dal sottosuolo;

ü       numero di ricambi orari d’aria assicurati nell’ambiente confinato.

Quindi, non solo i luoghi di lavoro interrati o seminterrati possono essere a rischio, ma anche quelli in superficie, qualora allocati in aree geografiche in cui, a causa della conformazione geologica e morfologica della zona, esista la probabilità di riscontrare concentrazioni di radon elevate.

Tale caratteristica della problematica è stata recepita dalla normativa attualmente vigente in Italia.

La Commissione Internazionale per le Protezioni Radiologiche (I.C.R.P.), in una pubblicazione del 1993 relativa alla “protezione contro il radon nelle case e nei luoghi di lavoro”, ha raccomandato il  rispetto di limiti massimi di concentrazione media annua di radon. Lo stesso hanno proposto la Commissione Europea e l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. A livello nazionale,  il D.Lgs. 230/95, così come integrato e modificato dai D.Lgs.241/00 e 257/01, ha fissato limiti massimi ancora più restrittivi.

I valori, considerati per locali con tempo di permanenza delle persone di 2.000 ore/anno, sono indicati nella tabella seguente:

Organizzazione

Valori indicati

(concentrazione media annua di attività di radon con tempo di permanenza delle persone di 2.000 ore/anno)

1 Bq/m³ = 1 transizione nucleare spontanea per secondo in 1 m³ di aria atmosferica

Commissione Internazionale per le Protezioni Radiologiche (I.C.R.P.)

500 – 1.500 Bq/m³

Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (I.A.E.A.)

500 – 1.500 Bq/m³

Comunità Europea (U.E.)

500 – 1.000 Bq/m³

Repubblica Italiana – D.Lgs. 230/95, così come modificato dai D.Lgs. 241/00 e 257/01

500 Bq/m³

 

Il succitato D.Lgs. 230/95, così come integrato e modificato dai D.Lgs.241/00 e 257/01, che ha recepito la Direttiva comunitaria 96/29/Euratom, disciplina la materia nel nostro Paese.

I punti della norma di maggiore interesse per la presente informativa sono quelli contenuti nel Capo III-bis, che regolamenta le “Esposizioni da attività lavorative con particolari sorgenti naturali di radiazioni”, individuando preliminarmente, all’articolo 10-bis, le attività lavorative rientranti nella norma (si citano esclusivamente quelle inerenti la presente relazione):

« a) attività lavorative durante le quali i lavoratori e, eventualmente, persone del pubblico

       sono esposti a prodotti di decadimento del radon o del toron o a radiazioni gamma o a

       ogni altra esposizione in particolari luoghi di lavoro quali tunnel, sottovie, catacombe,

       grotte e, comunque, in tutti i luoghi di lavoro sotterranei


   b) attività lavorative durante le quali i lavoratori e, eventualmente, persone del pubblico 

       sono esposti a prodotti di decadimento del radon o del toron, o a radiazioni gamma o

               a ogni altra esposizione in luoghi di lavoro diversi da quelli di cui alla lettera a) in

       zone ben individuate o con caratteristiche determinate dalle Regioni o dalle Province

       Autonome »

In linea di principio i locali chiusi sotterranei e semi-sotterranei non possono essere adibiti a luoghi di lavoro o, in generale, alla permanenza di persone: ciò è sancito dall’articolo 8 del D.P.R. 303/56.

Lo stesso articolo, tuttavia, ammette una deroga alla disposizione generale «… quando ricorrano particolari esigenze tecniche. In tali casi si deve provvedere con mezzi idonei all’aerazione, alla illuminazione e alla protezione contro l’umidità …» e, su precisa autorizzazione delle Autorità Sanitarie competenti, pur non ricorrendo particolari esigenze tecniche «… quando dette lavorazioni non diano luogo ad emanazioni nocive e non espongano i lavoratori a temperature eccessive, sempreché siano rispettate le norme del presente decreto e sia provveduto, con mezzi idonei, all’aerazione, alla illuminazione ed alla protezione contro l’umidità…».

La definizione di ambiente sotterraneo è solitamente contenuta nei Regolamenti Edilizi comunali, che vengono stilati sulla base di Regolamenti Tipo o Linee Guida dettati dalle singole Regioni.

Recentemente, un gruppo di lavoro composto dalle Regioni Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Veneto ha elaborato e proposto la definizione di ambiente sotterraneo, puramente indicativa, come “locale con almeno tre pareti interamente sotto il piano di campagna, indipendentemente dal fatto che queste siano a diretto contatto con il terreno circostante o meno”.

La Regione Lombardia ha emanato una Circolare, la n° 103/SAN del 30 aprile 1991 “Interventi di sorveglianza negli ambienti di vita e negli ambienti di lavoro”, con cui si ricorda che la deroga al divieto di destinare ad attività lavorativa locali chiusi sotterranei o semisotterranei sancito dall’articolo 8 del D.P.R. 303/56 è ammessa a condizione che vengano garantite condizioni di piena salubrità (corretta aeroilluminazione e protezione contro l’umidità).

La stessa Circolare evidenzia come la concessione della deroga debba essere condizionata anche al preventivo accertamento che in ogni situazione di lavoro non vi sia il superamento della concentrazione media annua di radon di 400 Bq/m³ (edifici già esistenti) e di 200 q/m³ (nuovi edifici), così come indicato dalla “Raccomandazione della Commissione delle Comunità Europee del 21 febbraio 1990 sulla tutela della popolazione contro l’esposizione al radon in ambienti chiusi (90/143/Euratom)”.

La Circolare della Regione Lombardia indica, infine, come sia «… opportuno che coloro che fruiscano attualmente della deroga …… provvedano a documentare la salubrità degli ambienti di lavoro  derogati,  anche  in  riferimento  alla  situazione radon. I dati circa la misura del radon e la certificazione dei risultati, come pure l’eventuale valutazione degli interventi correttivi adottati in caso di superamento dei …… limiti, dovranno essere tenuti a disposizione degli organi preposti alla vigilanza.».

Il titolare di una delle attività citate in precedenza deve:

ð   misurare i livelli di radon presente nei luoghi di lavoro definiti in precedenza avvalendosi di organismi riconosciuti ai sensi dell’articolo 107 del D.Lgs. 230/95

ð   ripetere le misure nell’anno successivo qualora fosse riscontrato un livello di azione compreso tra 400 e 500  Bq/m³

ð   se le misurazioni indicano concentrazioni di radon superiori a 500  Bq/m³

ü nel caso di asili nido, scuole materne e scuole dell’obbligo si deve provvedere, entro tre anni, alla realizzazione di azioni di rimedio avvalendosi di un Esperto Qualificato, ripetere, quindi, le misurazioni per verificarne l’efficacia e, qualora ancora si superi il livello prescritto, attuare i provvedimenti previsti dal Capo VIII del D.Lgs. 230/95 (“Protezione sanitaria dei lavoratori”)

ü negli altri casi, se il titolare dell’attività dimostra, avvalendosi di un Esperto Qualificato, che nessun lavoratore è esposto a una dose superiore a 3 mSv/anno, può evitare di attuare azioni di rimedio; in caso contrario, deve attuare i provvedimenti previsti dal Capo VIII del D.Lgs. 230/95 (“Protezione sanitaria dei lavoratori”)

 Per gli obblighi succitati, che sono sanzionati penalmente dall’articolo 142-bis del D.Lgs. 230/95, così come modificato e integrato dal D.Lgs. 241/00, la tempistica è la seguente:

ð   nei luoghi di lavoro sotterranei le misurazioni devono essere effettuate entro 24 mesi dall’inizio dell’attività o entro il 1° marzo 2004 se le attività sono preesistenti

ð   nei luoghi di lavoro in zone ben individuate o con caratteristiche determinate dalle Regioni o dalle Province Autonome (da attuarsi entro il 31 agosto 2005) le misurazioni devono essere effettuate entro 24 mesi dall’individuazione dell’area soggetta a rischio o entro 24 mesi dall’inizio dell’attività se posteriore all’individuazione

 Si resta a disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.

 Milano, 17 febbraio 2003

 Luca Lucchini

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Ultimo aggiornamento: 15 aprile 2018

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