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I RISCHI “PSICOSOCIALI” NEI LUOGHI DI LAVORO QUALI CAUSA DI STRESS NEGATIVO E DISADATTAMENTO LAVORATIVO
I RISCHI “PSICOSOCIALI” NEI LUOGHI DI LAVORO QUALI CAUSA DI STRESS NEGATIVO E DISADATTAMENTO LAVORATIVO Finalità del presente approfondimento è quella di ampliare l’attenzione dai soli aspetti di salute e sicurezza fisica dei lavoratori anche a quelli correlati agli aspetti cosiddetti “psicosociali”, ovvero a quei rischi derivanti dalla costrittività organizzativa del lavoro che possono provocare stress negativo, fatica mentale, disagi psicologici e disadattamento lavorativo, che, pur assumendo sempre più crescente importanza anche nel nostro Paese, non sempre vengono valutati nel “Documento di valutazione dei rischi” aziendale. Nell’ambito del generico termine rischi “psicosociali”, che continuerà ad essere utilizzato nel corso dell’intervento per motivi di brevità e di efficacia comunicativa, rientrano numerose categorie, che si cerca di elencare di seguito, pur in modo non certamente esaustivo: Ø lavoro ripetitivo; Ø lavoro monotono; Ø lavoro con ritmi sostenuti; Ø lavoro in regime di “mobbing”; Ø lavoro notturno ed a turni; Ø lavoro in solitudine.
Si evidenzia come gli obblighi in merito alla individuazione, valutazione ed eliminazione o, almeno, riduzione, anche dei rischi “psicosociali” siano incontrovertibilmente sanciti dal Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626 “Attuazione delle direttive 89/391CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42/CE, 98/24/CE, 99/38/CE e 99/92/CE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro.”. In particolare: Ø l’articolo 3 MISURE GENERALI DI TUTELA, alla lettera f), definisce l’obbligo del « ….. rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, anche per attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo ….. »; Ø l’articolo 4 Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto, al comma 1, definisce che « ….. Il datore di lavoro, in relazione alla natura dell'attività dell'azienda ovvero dell'unita' produttiva, valuta tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori ….. ». Al fine di migliorare l’integrazione della tutela psico-fisica dei lavoratori, già da oltre un decennio la Comunità Europea ha avviato la produzione di documenti sull’argomento. In particolare, con la Direttiva 92/131/CEE del 27 novembre 1991 la Commissione delle Comunità Europee ha fissato le raccomandazioni inerenti la dignità delle donne e degli uomini sul lavoro, mentre con la Risoluzione del Parlamento Europeo del 25 febbraio 1999 questo ha sottolineato l’importanza del costante miglioramento dell’integrazione della tutela della salute fisica e della salute psichica dei lavoratori dell’Unione. Con un recente documento, la Circolare n. 71 del 17 dicembre 2003, l’ INAIL, affrontando le modalità di trattazione e di diagnosi delle malattie professionali definite “Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro”, ha confermato (se ce ne fosse stato bisogno) la sussistenza del nesso di causalità tra organizzazione del lavoro e salute dei lavoratori. Nell’ambito più specifico del lavoro notturno, a turni ed in solitudine sono invece in vigore precise normative cogenti. Si citano le principali: Ø Decreto Legislativo 26 novembre 1999, n. 532 “Disposizioni in materia di lavoro notturno, a norma dell'articolo 17, comma 2, della legge 5 febbraio 1999, n. 25.” Ø Decreto Legislativo 4 agosto 1999, n. 345 “Attuazione della Direttiva 94/33/CE relativa alla protezione dei giovani sul lavoro.” Ø Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53.” Ø Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66 “Attuazione delle Direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro.” Analizziamo più in dettaglio i sopraccitati rischi “psicosociali”. Lavoro ripetitivo, monotono, con ritmi sostenuti Esistono varie tipologie di lavoro che possono comportare un impegno modificato mentale da parte dei lavoratori. Queste possono provocare, ai due estremi, le seguenti condizioni: 1. Sovraccarico per eccessiva sollecitazione di lavoro, ovvero per ritmi di lavoro eccessivamente sostenuti (eccessiva pressione temporale ed eccessiva quantità di lavoro da svolgere nell’unità di tempo). 2. Sottocarico per minima sollecitazione di lavoro, ovvero per lavoro monotono e ripetitivo (ridotta vigilanza e ridotto impegno mentale). Rappresenta anch’esso causa di stress negativo e consiste in situazioni e condizioni di violenza psicologica, intenzionale e sistematica, perpetrata nell’ambiente di lavoro sul singolo individuo. Il “mobbing” si distingue, a grandi linee, in: Ø Strategico, quando viene usato strategicamente dalle Aziende per stimolare l’allontanamento dal lavoro di soggetti ritenuti scomodi. Ø Emozionale, quando si scatena tra singole persone: tra “capo” e collaboratore (“bossing”) o tra colleghi (“mobbing orizzontale”). Ø Senza intenzionalità dichiarata. Nell’ambito dell’organizzazione aziendale può essere un’esigenza corrente la continuità produttiva per l’intero arco delle 24 ore della giornata e dei 365 dell’anno. Per permettere lo svolgimento a rotazione e distribuire in modo omogeneo l’attività che il lavoro continuativo comporta nell’Impresa può imporsi, quindi, la necessità di ricorrere al lavoro organizzato in turni (ad esempio, mattino, pomeriggio e notte) che può comportare, a carico dei lavoratori coinvolti, una costante modifica dei ritmi fisiologici legati al sonno ed alla veglia, dei cicli di alimentazione e delle attività sociali extralavorative, ovvero ad una serie di fattori di “stress negativo”. Nell’ambito dell’organizzazione aziendale e/o per esigenze dettate dal lay-out dell’Impresa (ad esempio le elevate dimensioni dello stabilimento) può essere inevitabile che parte del personale venga a trovarsi in situazioni di solitudine (anche non necessariamente durante il periodo notturno), ovvero senza nessun contatto diretto con altri lavoratori, con tutte le implicanze negative del caso.
Denominatore comune tra Lavoro ripetitivo, monotono, con ritmi sostenuti, “Mobbing”, Lavoro notturno ed a turni, Lavoro in solitudine Caratteristica di tale amplia tipologia di rischi è quella sommarsi sinergicamente ad altri fattori, soggettivamente avvertibili dai singoli lavoratori, presenti nei luoghi di lavoro, quali, ad esempio: Ø Rumore eccessivo Ø Sbalzi di temperatura Ø Movimentazione manuale dei carichi Ø Posture incongrue, scomode, fisse o stancanti Ø Affidabilità, idoneità e manutenzione delle attrezzature di lavoro Ø Orari di lavoro Ø Relazioni interpersonali difficili Le condizioni e le situazioni analizzate (sintetizzabili con il termine di “fatica mentale”) devono essere valutate dall’Azienda in quanto possono essere causa sia di infortuni, sia di disturbi o patologie da “disadattamento lavorativo”, inteso, quest’ultimo, come cessazione del normale adattamento dell’individuo, a livello biopsichico, ad un mutamento di condizioni ambientali. Questi possono essere così schematizzati:
Il personale addetto che svolge attività a turni ed in particolare notturno può essere sottoposto, inoltre, ad una costante modifica dei ritmi fisiologici legati al sonno ed alla veglia, dei cicli di alimentazione e delle attività sociali extralavorative, ovvero ad una ulteriore serie di fattori di “stress negativo”. Gli aspetti influenzati da tale organizzazione del lavoro sono schematicamente i seguenti:
Per il personale addetto, infine, che svolge attività in cui sia possibile trovarsi in situazioni di solitudine quali, ad esempio, addetti alla vigilanza, alla manutenzione, alla gestione o al controllo, potrebbe avere luogo, in caso di malore o di incidente/infortunio, l’oggettiva difficoltà o impossibilità, per il lavoratore coinvolto, di allertare i soccorsi e di indicare la propria posizione precisa nell’impianto o altre importanti informazioni, indispensabili per permettere ai soccorsi (esterni o interni) di raggiungere l’infortunato o, addirittura, di accedere all’interno del luogo dove è necessario l’intervento. Sulla base della valutazione dei rischi effettuata, l’Azienda deve stabilire idonee misure di prevenzione e protezione. Vediamo le principali: ü Informazione dei lavoratori sui rischi presenti. ü Costante miglioramento dell’ergonomia del lavoro che riduca i fattori di stress quali, ad esempio: Ø meccanizzazione delle lavorazioni ripetitive e/o monotone; Ø miglioramento dell’affidabilità e dell’efficienza delle attrezzature; Ø riduzione e/o miglioramento della movimentazione manuale dei carichi. ü Costante monitoraggio e miglioramento dell’organizzazione del lavoro che garantisca: Ø tempi sufficienti al lavoratore; Ø una chiara descrizione di ciò che il lavoratore deve effettuare; Ø trasparenza degli obiettivi aziendali; Ø l’espressione di osservazioni e lamentele; Ø la riduzione delle nocività da agenti chimici, fisici e biologici. ü Interventi direttamente collegati all’organizzazione del lavoro mediante costante monitoraggio da parte del Medico Competente durante i sopralluoghi periodici nei luoghi di lavoro e nel corso delle visite mediche. ü Interventi definiti dal Medico Competente nell’ambito della sorveglianza sanitaria, sia durante le visite mediche periodiche, sia durante le visite mediche straordinarie richieste dai lavoratori ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 626/94. Per quanto concerne il “mobbing”, pur non volendo assolutamente sottovalutare la questione, appare doveroso evidenziare quanto sia importante, anzi, indispensabile, considerare tutte le informazioni che giungono ai Vertici aziendali e valutarle con senso critico poiché alcuni comportamenti dell’Impresa, che il lavoratore potrebbe intendere come vessatori, possono invece rappresentare il legittimo esercizio dell’attività direttiva, sia di coordinamento che disciplinare, e non la volontà intenzionale di mettere in difficoltà il lavoratore stesso. Appare inoltre fondamentale la distinzione tra le situazioni di “mobbing” effettivo da quelle che riflettono una normale, fisiologica conflittualità e/o una chiara competizione organizzativa finalizzata al miglioramento dell’efficienza e della produttività dell’Azienda stessa. A riguardo, in conclusione, del lavoro in solitudine, non essendo, tale possibilità, vietata ma rappresentando questa, di per sé, certamente un rischio aggiuntivo rispetto a quelli normalmente presenti in Azienda, risulta evidente la necessità che il personale coinvolto venga informato, formato ed addestrato a: Ø non effettuare le azioni incompatibili con la situazione di solitudine; Ø utilizzare i sistemi di comunicazione con l’interno e con l’esterno; Ø essere in grado di dare indicazioni precise e dettagliate ai soccorsi; Ø gestire le procedure di emergenza, antincendio e di pronto soccorso.
Milano, 5 aprile 2004
Luca Lucchini |
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